Premessa

 4 Agosto 1944 i Partigiani della brigata Sinigaglia entrano in Firenze

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione. »

Benvenuti in un blog dove si parlerà di cose vecchie di 70 anni

ma che io ritengo se ne debba parlare, perchè il rischio di dimenticanza incombe su questi tristi e magnifici momenti della nostra storia.

Pubblicherò un certo numero di “Lettere di condannati a morte della Resistenza Europea”

e tante cose sulla Resistenza Italiana, ma in particolare su quella Toscana e Fiorentina che conosco bene per aver vissuto quel tempo.

Spero che gli scrtti siano apprezzati e chi li legge venga invogliato a farli leggere a gli amici

Toscano

Ringrazio tutti coloro che con lo scritto

e la parola hanno contribuito a darmi un aiuto

 

Saluti

Toscano, ragazzo partigiano, nato nel 1930 a Firenze, sempre vissuto nella fedeltà agli ideali di libertà e giustizia sociale, uomo buono, marito innamorato, padre magnifico, ha amato la vita per 90 anni, ha testimoniato quel che aveva studiato sulla Resistenza e quel che aveva vissuto nella guerra contro il fascismo perché non ci fossero mai più fascismo né guerra, ha creduto in una Italia onesta, accogliente, libera. Nel suo ultimo post ha raccontato qualcosa di molto personale, perché ne rimanesse testimonianza. E il 15 maggio se ne è andato, sereno, lasciando a chi lo ha conosciuto e amato il cuore pieno di una presenza che non è memoria, è vita.
Ciao papà, ciao compagno Silvano

a tutte le donne

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L’Ospedale di Careggi

Unisco un mio personale ricordo dei momenti che non ho mai scordato nella vita

Clinica Cardiologica

““Il 4 o 5 agosto 1944 i tedeschi fecero sfollare e racchiudere dentro l’ospedale di Careggi tutti gli abitanti della zona. Con barroccini portammo materasse o altro e ci adattammo nelle corsie nei padiglioni di Careggi, laddove le cliniche erano vuote.””

““In quell’area avevano trovato rifugio anche dei partigiani che stavano chiusi nella clinica che noi si chiamava “Il Lazzeretto”. Grande fu l’aiuto che il personale, dottori ed infermieri dettero a tutti ricoverando perfino nel reparto tubercolotici dei partigiani, della Brigata Fanciullacci, per coprirli usavano uno stratagemma.””

““I partigiani e gli altri uomini validi mettevano in bocca della polvere d’uovo e tossendo sputavano delle patacche gialle, in questo modo i tedeschi scansavano quel reparto da come ne erano terrorizzati.””

““Per venticinque giorni abbiamo vissuto sotto l’arbitrio e la dominazione tedesca e sotto l’incubo dei cannoneggiamenti di chi non si sa.””

““In questi bombardamenti a casaccio morirono sfollati e malati, morì anche la compagna Primetta Bartolini, staffetta partigiana. Per sostenerci fummo costretti a mangiare granturco in chicchi, tralci di vite, erba dei giardini. Ma quando li trovammo facemmo grande festa agli animali da laboratorio: fra i quali i polli, i conigli e le cavie del reparto sperimentazione dell’ospedale.””

““In particolare ricordo il maiale: a detta di mio padre macellaio era di una grossezza spaventosa, fu ucciso e lo mangiammo in tanti. E in tanti il giorno dopo si affollava locali di decenza e prati vari.””

““Dopo l’insurrezione di Firenze, l’11 di agosto, e l’avvicinamento del fronte le persone che avevano trovato rifugio nell’ospedale cominciarono a scappare per la fogna. La via di fuga era un po’ scomoda: 1500 metri nelle fogne dall’interno dell’Ospedale fino a Piazza Dalmazia.””

““Fu tirata una corda e si cominciò l’esodo. Qualcuno vide e fece la spia, i tedeschi minarono le fogne per impedire la fuga dall’ospedale, ferirono e catturarono due sfollati, li curarono e poi li fucilarono alla presenza dei familiari.””

 ““Il 27 agosto i tedeschi mi presero ma mi fu possibile fuggire: grazie ad una scarica di mortaio che ferì i rastrellatori e il mio amico Mario. Lui, che era di costituzione più robusta della mia, venne ripreso da un tedesco ferito che gli montò a cavalcioni e si fece portare al comando situato in una delle ville signorili sopra Careggi. Mario tornò a casa nel luglio 1945.””

““Poi la mattina del 31 agosto arrivarono i partigiani della 3° Rosselli. Liberarono e rastrellarono il complesso ospedaliero tra lacrime di gioia, saluti, urla: come erano belli!””

““Oddio, il primo che vidi non era certo un bel “Ribelle della Montagna”, piccolo e secco, scuro al di fuori dei canoni dell’immaginazione popolare. Seppi dopo che era un calabrese che aveva fatto tutta la trafila in montagna dall’8 settembre in poi e che aveva posato l’occhio su una bella “Luger” che avevo alla cintola dei pantaloni.””

““Arrivarono anche dei compagni conosciuti e mi senti meglio, il calabrese mi guardò con l’occhio meno cupido e tutto fu risolto.””

““La vita riprese e si ritornò nelle case, si facevano grandi progetti.””

““Intanto i tedeschi avevano fatto saltare delle abitazioni, in particolare il casamento in angolo tra Via delle Panche e Via Michelazzi, e nascosto sotto le macerie delle mine. Erano dappertutto: nei campi, dietro le porte, sotto i letti, sugli alberi. Le “mine” divennero il terrore delle genti.””

““Tante furono individuate e segnalate secondo le istruzioni ricevute dal Gen. Alexander, segnalate con un cartello “MINEN” e ci prendemmo le prime critiche per la strana dizione italiana.””

““Il 1° settembre di sera ci fu uno scontro con una pattuglia di guastatori tedeschi, uno fu preso prigioniero. Ma non fu possibile consegnarlo agli alleati perché fece un tentativo di fuga.(dissero quelli che furono lasciati a guardia””)

““Fu stabilito di organizzare per il 3 settembre una festa per i partigiani e ci demmo da fare. Con Nino andammo a caccia di bevande. In una casa vinicola trovammo una vasca di marsala, ma trovammo anche una diecina di soldati inglesi che bevevano usando il tipico elmetto a scodella, dopo un poco erano sufficientemente ubriachi per farsi portar via un revolver a tamburo che avrebbe fatto invidia ad un cowboy, e una piccola damigiana di marsala.””

““Ritornammo verso la casa del popolo, si doveva passare sulle macerie, all’andata un anziano era scivolato, la mina non era scoppiata e gli “esperti” che ci sono sempre in ogni momento dissero che erano finte. Ma Nino mi disse “dammi la damigiana la porto io, tu vai avanti”. io ubbidii. Avevo appena passato le macerie quando fui investito da uno spostamento d’aria e sassi che mi scaraventò a 5 metri più in là.””

““Mi alzai stordito e dolorante, mi girai e Nino non c’era più; era stato squartato e buttato a venti-venticinque metri sulle macerie, il busto senza gambe, la testa mezza staccata: come un automa cominciai a raccogliere i pezzi, piangevo e tremavo, la gente guardava come sbigottita.””

““Poi vennero i Fratelli della Misericordia di Rifredi e mi portarono via, mi dissero dopo che avevo raccolto quasi tutto quanto era possibile.””

““La madre di Nino non resse al dolore del secondo figlio morto in guerra e morì poco dopo.””

““A Primetta Bartolini venne dedicata una cellula femminile della Sezione delle Panche del PCI, a Vinicio Bagalini (Nino) una cellula maschile

 

 

L’autore è testimone diretto di quell’esperienza e della vita della zona di Firenze vicina all’Ospedale di Careggi di quegli anni.

Tratto da   http://resistenzatoscana.it/

 

 

 

 

Inno Partigiani Fiorentini

Inno Partigiani Fiorentini

Sinigaglia, Lanciotto, Potente

sono nomi coperti di gloria

trucidati sì barbaramente

dai nemici di tutta la storia.

Ma se i martiri nostri son morti

guarderan verso di noi così

e diranno: no, non siam morti,

marceremo con voi come un dì.

Siamo partigiani

si lotta, si vince, si muor

siamo gli italiani

abbiamo una fede nel cuor

per l’Italia bella

tutto daremo ancor

contro i barbari nazifascisti

inesauribile è il nostro valor.

Vai fuori d’Italia

va’ fuori ch’è l’ora

va’ fuori d’Italia,

va fuori stranier!

Fanciullacci, Caiani, Rosselli

son brigate di garibaldini

che guidati dagl’inni più belli

marcian verso i migliori destini

di un’Italia tradita vilmente

da un ventennio di lutti e di orror

liberata sarà finalmente

dal tedesco tiranno invasor.

Siamo partigiani

si lotta, si vince, si muor

siamo gli italiani

abbiamo una fede nel cuor

per l’Italia bella

tutto daremo ancor

contro i barbari nazifascisti

inesauribile è il nostro valor.

Vai fuori d’Italia

va’ fuori ch’è l’ora

va’ fuori d’Italia,

va fuori stranier!

La Campana del Bargello

LA CAMPANA DEL BARGELLO

da giorni e giorni, sei per la storia, ma sembravano mesi, le strade vi erano fatte deserte, la città sembrava vuota, piena di sole, di caldo, di puzzo.

Le persiane tutte chiuse, i portoni sprangati, le saracinesche dei negozi abbassate. Il sole d’agosto batteva spietato sopra le pietre, sopra l’asfalto che sembrava liquefarsi e sopra grossi mucchi di spazzatura che sorgevano qua e là per le strade e che ogni giorno crescevano insieme all’odore terribile di marcio, di cadavere, di fogna. Si cercava di passare più lontano possibile da questi mucchi tanto era violento ed insopportabile l’odore che appestava intorno, ma anche da lontano l’aria ne era impregnata, sembrava che tutta la città, ne fosse piena o che addirittura fosse dentro di noi.

Sole, caldo, puzzo, non c’era dunque più nulla, Firenze sembrava vuota, ma ogni tanto in qualche strada, accanto al marciapiede dov’erano le bocchette dell’acqua potabile (poiché le tubature erano state fatte saltare, un gruppetto di donne che rapido si scioglieva per ricomporsi poco dopo, dimostrava chiaramente che non tutti erano andati via e che dietro quei portoni sprangati, dietro quelle persiane chiuse la, gente viveva silenziosa e spaurita, tutta tesa nella speranza di finire presto quell’incubo terribile. Gli uomini che giravano, pochi, radi, guardinghi, e tutti forniti di bracciali della Croce-Rossa, erano quasi tutti partigiani, così come lo erano tutte le donne che non si dedicavano al solo rifornimento dell’acqua.

Anche se non ci si conosceva, anche se non si apparteneva allo stesso partito o alla stessa brigata, mentre ci s’incrociava rasentando i muri ci guardavamo con simpatia, quasi con affetto, sicuri che anche l’altro era uno dei nostri.

Ma che pena camminare da un Comando ad un distaccamento, dal C.L.N. in Via Condotta al Comando Militare in piazza Strozzi, ,dal Comando di Città in Via Roma, alle Gap di, Piazza D’Azeglio. Per quelle strade deserte rasentavamo il più rapidamente possibile i muri caldi di sole, i portoni chiusi, desiderosi di un nascondiglio, ma certi che non un portone si sarebbe schiuso, non una saracinesca sarebbe stata alzata per noi…. Ogni tanto una pattuglia tedesca o un piccolo bivacco; ce n’erano un po’ dappertutto formati in genere da soldati armati, o con i mitra appoggiati accanto, il giorno erano spesso incuranti di tutto, ormai avviliti e stanchi anche, loro. La notte invece non facevano che sparare forse per farci stare fermi e zitti, per tenere tutta la città calma e morta, forse per coraggio.

La notte non passava mai, ma ogni mattina risorgeva la speranza nella giornata si sarebbe avuto l’ordine d’insorgere: gli americani avrebbero attaccato, i tedeschi se ne sarebbero andati; ma ogni sera c’invadeva lo sconforto di un’altra notte da passare.

La notte del 10 agosto, dopo aver dato insieme alla Lea l’ultima occhiata da una terrazza su via Tosinghi, al piccolo bivacco dei cinque o sei tedeschi che si era accampato con pentole e scatolame ed armi dentro il portone dell’UPIM e che noi vedevamo d’infilata attraverso Via dei Medici, ci sdraiammo per terra su di un logoro tappeto (dalla prima sera dell’emergenza non ci spogliavamo più).

_Lea, domani è il mio compleanno, vedrai che domani se ne andranno ».

«-Speriamolo, non ne posso più ».

E il suo viso grassoccio ed infantile ebbe una smorfia di pianto.

Nel profondo sonno qualcuno ci destò. Era Alfio, aveva una voce strana, quasi un falsetto:

– Ragazze i tedeschi sono andati via ».

« Come, davvero’? » fatemi vedere dal terrazzo ». Ci affacciammo tutti e tre, il portone dell’UPIM era vuoto. Mentre Lea svegliava tutto il Comando, io ed Alfio ci precipitammo fuori in ispezione; era ormai giorno chiaro ma l’aria era ancora fresca e la luce rosata dell’alba.

Non sentii più il puzzo, mi sembrò che anche quello fosse sparito con i tedeschi.

Ed Alfio si avviò lungo l’Arcivescovado mentre io correvo lungo la facciata del Duomo. Mi ricordai che in Piazza San Lorenzo la sera prima c’erano tanti tedeschi ma Alfio non vedeva più. Corsi lungo Via Martelli, nessuno all’altezza di Via dei Pucci sull’angolo di Piazza San Lorenzo, Alfio mi fece cenno di proseguire per Via Cavour, lo ritrovai sull’angolo di Via degli Alfani, ci .abbracciammo commossi mormorando:

« Liberi, liberi ».

Si tornò correndo insieme fino in Via Roma al Comando di Città,  Albertoni mi mandò al Comando Militare in Piazza Strozzi, dal Colonnello Niccoli. Da lui ebbi gli ordini da portare in Palazzo Vecchio, di nuovo mi misi a correre: Piazza Strozzi, Via Monalda, Via Porta Rossa, Via Calzaiuoli, Piazza Signoria, Via della Ninna… per le strade deserte tutto era fermo, vuoto, silenzioso; i miei passi, mal¬grado i sandali sottili, risuonavano sul selciato suscitando echi da città morta che mi davano uno strano senso di paura.

In Via della Ninna la porta mi fu subito aperta: finalmente una divisa non tedesca, quasi caddi addosso ad una guardia di città che Mi portò da Stagni ancora mezzo addormentato.

«-La campana del Bargello si deve far suonare subito, si deve alzare il tricolore su Palazzo Vecchio ».

Io dovevo correre ancora ad avvertire il Comitato di Liberazione in Via Condotta erano già passate le cinque. Di nuovo spiccai la corsa, ma non ce la facevo più il mio cuore sembrava volesse scoppiare mi sentivo disperata e felice, affranta e piena di energia. Davanti alla saracinesca abbassata della Farmacia Bizzarri mi arrestai smarrita la campana del Bargello, ferma da quattro anni, aveva dato un rintocco che in quel silenzio sembrava magico, ecco… il secondo, alzai gli occhi verso l’alto ed un altro miracolo mi apparve: lentamente sulla torre di Palazzo Vecchio si alzava il tricolore. M’inginocchiai piangendo sul marciapiede mentre ad una ad una le persiane della piazza si spalancavano, una donna da una finestra bassa mi chiese urlando:

Se ne sono andati? ».

« Siamo liberi, liberi », risposi singhiozzando ed allargando le braccia… un rumore di chiavistelli, un portone si apre, ed un altro ancora, una donna esce correndo da una porta mi si butta tra le braccia gridando: « Sono andati via, sono andati via! ». Lo grido anch’io senza quasi rendermi conto di abbracciarla piangendo. È commovente, meraviglioso, sublime, ma io non posso godere più a lungo della gioia di questa gente che ha finito di aver paura della morte, che crede di novella gioia e nella libertà, io devo correre al C.L.N. Devo andare a dire che facciano presto che si facciano tutti belli che vadano subito a Palazzo Riccardi.

Poi potrò guardare, ridere, cantare, dormire; no, poi ci sono ancora tante cose da fare!

Il CTLN va ad occupare la Prefettura

Ma che confusione tra i membri importanti del C.L.N.! La notizia della liberazione era giunta ancor prima di me, infatti rapidissima da Piazza Signoria si era propagata per mille rivoli insieme all’onda sonora della campana del Bargello. Al mio ingresso mi si parò davanti l’onorevole Martini, così buffo e simpatico che scoppiai a ridere, girava per le stanze del piccolo appartamento, sbracato, con le bretelle ciondoloni dietro, cercando come farsi la barba e stringendosi sul cuore una catinella. L’Adina, la loro bravissima staffetta, era già pronta, elegante, fresca, fresca, pettinata, pulita. Era stata sempre per me fonte di continua ammirazione ed anche d’invidia per come riusciva ad essere sempre fresca ed elegante malgrado quella maledetta vita che si faceva e con tutta la strada che anche lei ogni giorno era costretta a percorrere.

Enzo era il più calmo. Uno del Comitato forse a causa di quella irriverente e risata in faccia a Martini, mi disse con una nota di disappunto nella voce: « Lei, signorina, ora dovrebbe mettersi il bracciale ». Fu la nota stonata di quella giornata (ma presto ne seguirono altre per via di quel benedetto bracciale m’impedirono di entrare in Palazzo Riccardi. Ne avevo confezionati tanti di quei bracciali, nei momenti d’ozio, che proprio non avevo pensato a tenerne uno per me.

Albertoni me ne dette uno e con gesto un po’ melodrammatico, me lo mise al braccio scesa così in istrada notai che la gente mi guardava; erano ancora pochi ad adornarsi del bracciale con il "Cavallino" e suscitava ammirazione e curiosità.

Una ragazza mi fermò per chiedermi come avrebbe fatto d averne uno anche lei: «Bisognava guadagnarselo prima » le risposi asciutta, poi mi vergognai, mi tolsi il bracciale, lo riposi i tasca tasca e non lo misi più.

lnfatti poche ore dopo ero di nuovo dove erano ancora i tedeschi; tornai in centro dopo parecchi giorni il bracciale con il cavallino era giù passato di moda.

Nella stessa mattinata mi trovai a Palazzo Vecchio quando tornava Carlo Ludovico Ragghianti da oltrarno dove era andato a prendere accordi con il Comando alleato, insieme a due ufficiali del Comando inglese. Ragghianti mi presentò loro, ed il più giovane mi disse: « Guaita, proprio Guaita? Allora tanti saluti da suo fratello ».

Mio fratello!… Sei mesi prima, Nino, passando le linee, ci aveva portato una sua fotografia con la moglie ed il bambino nato in quei mesi; da allora non avevamo saputo più nulla, e questa notizia così inaspettata mi rese ancora più sensibile e più scoperta a tutte le emozioni di quella meravigliosa giornata. Erano troppe per sopportarle da sola, dovevo, volevo, vedere mia madre che, pur malata di cuore, aveva in quei lunghi mesi divise con me e per me molte ansie e paure.

Albertoni, il comandante delle squadre di città, doveva darmi il permesso di andare a casa, così tornai in Via Roma. Le strade formicolavano di folla; folla anche sul portone di Via Roma. Mi scontrai in Adriano che traversava di corsa il marciapiede per salire su una macchina insieme a Gigi e ad altri partigiani armati fino ai denti. « Andiamo a fare un’azione sul Mugnone » mi gridò eccitatissimo, già dall’auto in moto. Dio mio, pensai, purchè, non muoiano proprio ora, alla fine!…

Ecco Alfio:" Abbiamo preso tre spie, vuoi vederle? ».

Mi accompagnò al portone accanto, lì nel cortile si fermò davanti ad un grosso canile: accucciato al posto del cane, con l’aria anche lui di un cane rabbioso, c’era un giovanotto biondo con occhi chiarissimi pieni di odio e paura, aveva, stretto ad una coscia, un collare da cane, rinforzato da una catena con lucchetto. Dalla camicia aperta fino alla cintura si vedeva un petto bianco, molliccio, quasi femminile, sul quale luccicava, appesa ad una catena d’oro, una grossa croce, che ogni tanto con gesto nervoso si toccava quasi ad assicurarsi che ci fosse ancora.

« Ma Alfio, che strana idea! ».

« Oh, non vorrai mica che si sprechi un partigiano combattente per stare a guardia di questo qui. E poi in serata verrà la polizia inglese a prenderseli. Le altre sono due ragazze, vuoi vederle? ».

"No, basta così ».

La stanza d’Albertoni era piena di staffette e di comandanti, Albertoni, serio, davanti ad una gran carta di Firenze piena di croci rosse e blù, sembrava quasi un generale vero.

Tutte le staffette chiedevano la stessa cosa, munizioni e rinforzi alla, periferia di Firenze, sul Mugnone e sull’Africo si stava combattendo e le munizioni erano poche.

Albertoni aveva per tutti la solita risposta " Gli inglesi hanno promesso di darci le munizioni e di entrare in azione anche loro ».

Alberto qui non ho più nulla da fare, posso andare a casa? Non c’è più niente da fare? E pari come ci vai? Sulla ferrovia; sia alle Cure che al Campo di Marta, si combatte

Passerò dal Ponte del Pino ». Uhm, hanno ferito anche il dott. Horloch molto

gravemente, pare sia morto. Anche Baratti è stato ferito ». Come arrivavano presto le notizie "Ho bisogno di sapere cosa è successo a mia madre, non posso resistere più ».

Albertoni si tolse la pipa di bocca, mi guardò con quella sua aria assente:

« Va bene, al Ponte del Pino c’è la squadra di Gigi Belli, appena verrà la sua staffetta andrai con lui, ti farà passare ».

« Va bene, grazie, addio ».

Ma non ebbi pazienza di aspettare. Col cuore un po’ peso, ma con un enorme desiderio di abbracciare stretta mia mamma, mi recai al giardino dei Semplici,

Giardino dei Semplici diventato il cimitero della città, sicura di trovare lì qualcuno con cui passare il famoso Ponte del Pino, sul quale i tedeschi sparavano di continuo.

Non mi ero sbagliata, potei subito accodarmi ad una carovana capitaata da Don Poggi, il bravo prete di S.Gervasio che malgrado il suo graan buzzo fu in quel periodo instancabile e coraggiosissimo.

Gran stendardo bianco, due crocerossine, il sagrestano di S. Gervasio un altro vecchio, sei, sette donne. Fu un vero viaggio, a fare mezz’ora di strada ci si mise due ore, ero esasperata ed affranta, le mitragliatrici di Piazza Savonarola e quelle dei Molini Biondi mi facevano più paura di tutti i bombardamenti passati.

Il gruppo di Don Poggi

Trovai mia madre in Via Marconi, era ferma con altre donne ad una di quelle bocchette dalle strade a prendere acqua. Mi vide da lontano, io cominciai a cor¬rere e lei pure, sembrava una ragazzina, ma poi stretta contro di me non 1e riuscì parlare tanto il cuore, povera vecchina, le batteva forte in gola. Divisi la cena con mio padre e mia madre: come tanta altra gente in quei giorni non avevamo che un po’ di piselli secchi lessati nell’acqua.

Anche noi in Via Roma non avevamo molto di più da mangiare, e qualche volta anche meno, all’infuori del giorno nel quale Olìviero (l’oste della Ceviosa la cui cucina dava sul nostro stesso cortile) ci offrì a caro prezzo una testa di vitello. Non contrattammo neppure tanto eravamo preoccupati di dar qualche cosa da mangiare ai partigiani di Didon che erano arrivati, passando diversi blocchi tedeschi,da Monte Giovi per partecipare all’insurrezione di Firenze, e si erano accampati nel cortile dello stabile con grande paura e preoccupazione dei diversi inquilini. La testa di vitello risultò formicolante di vermi, io quasi mi sentii male al solo vederla; la brava Noemi, con la forza della disperazione, aiutata dalla portinaia, la lavò a lungo nell’aceto e la, cucinò … Ma Alberto era furioso di essere stato giuocato e, quale capo responsabile della Sussistenza, decise di far man bassa nottetempo, nella cantina dell’oste. Non c’erano vettovaglie, ma casse e casse di vini pregiati e di liquori di marca. Fu preso tutto e fu tutto distribuito. Furono date delle bottiglie anche, agli inquilini dello stabile che per l’occasione smisero di avere paura. L’indomani ogni staffetta che– arrivava, ripartiva ben provvista di liquori, ritornava dove era par¬tita più contenta, non c’era da mangiare, ma almeno si sarebbero scaldati il cuore per i momenti della lotta con qualche cosa di forte. Anche noi si seguiva così, grazie alla cantina d’Oliviero, la tradizione degli eserciti regolari.

Ora, davanti a quei disgustosi piselli secchi, pensavo che anche a loro, poveri vecchi, una bottiglia di vino vecchio avrebbe fatto tanto bene…..

Finalmente ero nel mio letto: come ci si stava!…

Ma ecco da Fiesole cominciò a sparare il cannone, o forse aveva già cominciato, pur io nell’emozione di quei primi momenti non avevo avuto il avuto il modo di sentirlo. Il colpo partiva con un sibilo ed arrivava con un tonfo, si sentiva partire non si sapeva dove arrivava.

Non so come avvenne, qualcosa crollò dentro di me, forse fu il sen¬tire ehe ormai non ero più con quelli che perdevano sempre perché erano troppo pochi, e con i quali bisognava resistere fino alla fine. Ormai tutti noi, quelli che erano rimasti di noi, erano uniti a quelli che vincevano perciò io non avevo più niente da fare, io mi potevo per¬mettere di avere paura.

Ed ebbi paura, tanta paura, tutta la paura arretrata di mesi e mesi, restai per giorni sdraiata a letto, non, riuscivo né a mangiare né, a bere e neppure a dormire, ero lì intenta ad ascoltare le bombe che arriva¬vano da Fiesole, la partenza e l’arrivo, incapace di pensare e di die altro, altro che:

«E’ partita… è arrivata… è partita… è arrivata… ».

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA DI FIRENZE

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA

DI FIRENZE

LANCIOTTO BALLERINI
« Comandante dal settembre 1943 la P, Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a. ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».
Monte Morello, 3 gennaio 1944
VITTORIO BARBIERI
« Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2" Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo dì continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avan­scoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo ac­compagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».
Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•
ALIGI BARDUCCI (Potente)
Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.
Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costitui la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacrifici in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.
Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.
Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava ì volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.
Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».
Firenze, 9 agosto 1944•
ENRICO BOCCI
« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riusci a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla : saputo del suo destino ».
Firenze, giugno 1944•
ELIO CHIANESI
« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of¬frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle più ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac¬canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet¬tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.
Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».
Firenze, 15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•
ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI
« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra¬telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.
Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.
Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »
1 In realtà, come è detto nel testo, A. M. Enriques Agnoletti fu fucilata nei pressi di Cervina, sulle falde del Monte Morello.
BRUNO FANCIULLACCI
« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio, e temerari colpi di mano che disorientarono l’avversario.
Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertagli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi generosamente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com¬piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stroncava la vita ».
Firenze, settembre 1943 – luglio 1944•
ADRIANO GOZZOLI
« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subí torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affrontava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».
Mugello-Firenze, 8 settembre 1943 – 3 maggio 1944•
TINA LORENZONI
« Purissima patriota della Brigata " V martire della fede italiana compi sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa-trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.
Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•
LUIGI MORANDI
« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei più delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i più gravi rischi e le più dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentre trasmetteva messaggi segreti, riusciva con mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i nemici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato più volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organizzato col proprio eroico sacrificio ».
Firenze, 7 giugno 1944•
ITALO PICCAGLI
« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta intransigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progressiva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività operativa ed informativa, corso per più mesi i più gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irreparabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente minata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito preziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Durante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla moglie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di offrire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad affrontare coraggiosamente la morte.
A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile,
di purissimo amore di Patria ».
Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944

Pietro Gori – Inno del 1 Maggio

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Pietro Gori

Inno del 1 Maggio

Vieni o Maggio t’aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua dei lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol

Squilli un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
a la vasta ideal fioritura
in cui freme il lucente avvenir

Disertate o falangi di schiavi
dai cantieri da l’arse officine
via dai campi su da le marine
tregua tregua all’eterno sudor!

Innalziamo le mani incallite
e sian fascio di forze fecondo
noi vogliamo redimere il mondo
dai tiranni de l’ozio e de l’or

Giovinezze dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio del genere umano
date ai petti il coraggio e la fè

Date fiori ai ribelli caduti
collo sguardo rivolto all’aurora
al gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor!

Pietro Calamandrei 25 Aprile 1045

(25 Aprile 1945 – Pietro Calamandrei)

 

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

 

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità

 

non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi

che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.

Le azioni dei GAP fiorentini

Le azioni dei GAP fiorentini dal dicembre 1943 al luglio 1944

La ricostruzione storica delle numerose azioni compiute dai gappisti fiorentini non è semplice perché i documenti relativi, conservati presso l’ANPI di Firenze, andarono distrutti con l’alluvione del 1966. Sono comunque molto informativi sia le relazioni della “Commissione regionale toscana per il riconoscimento della qualifica di partigiano” sia le memorie dei gappisti e dei partigiani fiorentini, materiale confluito in vari saggi a partire da quello di Giovanni Verni del 1964.

L’elenco sintetico che segue, basato su varie fonti memorialistiche e storiche, dà un’idea della rilevante serie di “azioni di guerra” svolte dai GAP a Firenze.

Per ogni azione sono dati tra parentesi quadre i nomi dei gappisti che vi parteciparono, perlomeno quelli che sono noti e accertati. Sono riportati anche gli eventi in cui i gappisti subirono perdite.

__________

1° dicembre 1943 – Esecuzione del tenente colonnello Gino Gobbi, comandante del distretto militare di Firenze, impegnato nel richiamo alla armi per la ricostituzione dell’esercito della RSI [Martini, Scorsipa].

15 gennaio 1944 – Scoppio di bombe nella Federazione fascista in via dei Servi, nell’albergo di piazza dell’Unità d’Italia alloggio degli ufficiali tedeschi, e in altri parti della città [Fanciullacci].

17 gennaio – Agguato al capitano della Milizia fascista Averardo Mazzoli

[Fanciullacci].

21 gennaio – Bomba nella casa di tolleranza di Via delle Terme, frequentata da fascisti e nazisti.

27 gennaio – Esecuzione della sentinella di guardia al ponte della Vittoria, per agevolare il transito dei partigiani [Fanciullacci, Martini].

30 gennaio – Bomba nel Teatro della Pergola durante una manifestazione fascista nella quale sarebbe intervenuto Gino Meschiari, segretario della federazione provinciale del Partito Fascista Repubblicano.

3 febbraio – Esecuzione di un sergente tedesco nel viale Belfiore.

5 febbraio – Attacco a una pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in piazza Donatello (esecuzione di due militi) [Martini e altri].

9 febbraio – Esecuzione di un sergente della G.N.R. alla Fortezza da Basso.

10 febbraio – Tentativo di collocare una bomba nel bar Paskowski in piazza della Repubblica, ritrovo degli ufficiali tedeschi, da parte di Antonio Ignesti e Tosca Bucarelli. Scoperti, i due gappisti fuggono, ma la Bucarelli viene catturata, invano torturata perché parlasse, e poi imprigionata al carcere di s. Verdiana (da dove viene liberata il 9 luglio dai compagni gappisti) [Martini e altri].

11 febbraio – Sette bombe nella Feld-Gendarmerie tedesca di via dei Serragli, con devastazione degli uffici e distruzione di tre automobili.

13 febbraio – Alessandro Sinigaglia viene riconosciuto di fascisti mentre si trova in una trattoria in via Matteo Palmieri, fugge, ma viene colpito a morte.

13 febbraio – La linea Firenze-Roma, nel tratto Varlungo-Rovezzano, viene fatta saltare bloccando il transito di un convoglio con materiale bellico.

22 febbraio – Attacco a un gruppo di soldati tedeschi presso la casa di tolleranza di via delle Belle Donne (feriti due tedeschi).

22 febbraio – Esecuzione di un milite nel viale Amedeo [Martini].

25 febbraio – Spari contro un soldato tedesco in via Incontri.

27 febbraio – Esecuzione di un milite della G.N.R. in viale Amedeo.

29 febbraio – Bomba nella casa di tolleranza di Via delle Terme (tre soldati tedeschi feriti).

2 marzo – La linea ferroviaria Firenze-Roma viene fatta saltare bloccando il transito di un convoglio con materiale bellico.

3 marzo – Bombe al Sindacato Fascista sul lungarno Guicciardini con devastazione dell’intera sede [Scorsipa].

5 marzo – In concomitanza dello sciopero, alle 5 del mattino vengono fatti saltare gli scambi dei tram nel deposito  i viale dei Mille [Becheri, Fanciullacci, Massai].

5 marzo – Esecuzione di un soldato tedesco in via del Pergolino.

6 marzo – Vengo fatti saltare gli scambi della zona industriale sul ponte del Romito.

7 marzo – Esecuzione del maggiore Mauro Giovannelli della G. N. R. in via Ciro Menotti.

7 marzo – La linea ferroviaria Firenze-Roma viene fatta saltare nei pressi di Varlungo.

9 marzo – Bomba contro la caserma della G.N.R. di Lungo l’Affrico (la sentinella viene ferita).

10 marzo – Esecuzione di un milite fascista in via Bolognese.

12 marzo – Bomba contro la sede dell’E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) (la sentinella viene ferita).

14 marzo – Bombe al Sindacato Fascista sul lungarno Guicciardini con devastazione dell’intera sede [Fanciullacci, Massai, Mazzoli, Scorsipa].

17 marzo – Esecuzione del capo della provincia di Pisa e ferimento del figlio alla Costa San Giorgio.

23 marzo – Bomba contro la cripta dei caduti fascisti in piazza S. Croce.

27 marzo – Esecuzione di due sentinelle al ponte della Carraia.

28 marzo – Bombe contro il circolo e mensa ufficiali fascisti (tre feriti).

1 aprile – Bombe contro la nuova sede della Feld-Gendarmerie in via del Campuccio.

2 aprile – La linea ferroviaria tra Sesto e Calenzano viene fatta saltare.

7 aprile – Bombe contro l’ufficio reclutamento Todt in piazza Vittorio Veneto.

7 aprile – Ferimento di Nello Nocentini, spia fascista, e uccisione del figlio e dell’amico Pecchioli, anche loro informatori del Reparto di Carità.

9 aprile – Esecuzione di un sottoufficiale tedesco presso il campo sportivo Giglio Rosso sul viale dei Colli [Martini].

15 aprile – Esecuzione del filosofo Giovanni Gentile, presidente dell’Accademia d’Italia [Fanciullacci, Ignesti, Martini, Serni, Suisola].

21 aprile – Agguato a Bruno Landi, detto “Pollastra”, nota spia fascista, in via Santa Maria.

Cattura di Bruno Fanciullacci

29 aprile – Attentato al colonnello Italo Ingaramo, comandante provinciale della G.N.R. in Lungarno Acciaoli. L’autista muore sul colpo, Ingaramo il 10 maggio [Ignesti, Martini].

aprile (data non nota) – Bombe collocate su due automezzi tedeschi a Varlungo e loro distruzione.

2 maggio – Bombe in piazza del Duomo Bombe contro un tram della linea di Scandicci carico di militi fascisti (tre feriti).

3 maggio – Esecuzione di un caposquadra della G.N.R. in viale De Amicis.

4 maggio – Tentativo di liberazione di Fanciullacci all’Ospedale in via Giusti.

Esecuzione di un milite delle S.S.

8 maggio – Liberazione di Fanciullacci all’Ospedale in via Giusti. Esecuzione di una sentinella [Martini e altri].

10 maggio – Ferimento del maresciallo dei Carabinieri di Sesto, delatore delle S.S.

17 maggio – Esecuzione della sentinella del battaglione “M” al Poggio Imperiale.

26 maggio – Cariche di tritolo contro un compressore delle Officine di Porta a Prato.

29 maggio – Esecuzione di Prevoncini (nome italianizzato di Enrico Prevlosek),milite della G.N.R. e organizzatore del P.F.R. a Rifredi.

14 giugno – Ferimento dell’ispettore del Fascio De Rode.

16 giugno – Bombe contro il negozio di Linda Fantelli, delatrice delle S.S. tedesche.

21 giugno – Esecuzione di un sottoufficiale tedesco sul viale dei Colli.

27 giugno – Esecuzione di un maresciallo tedesco a Monte Oliveto.

7 luglio – Esecuzione di un milite fascista alle Cascine.

9 luglio – Liberazione di Tosca Bucarelli nel carcere di S. Verdiana [Chianesi, Fanciullacci, Martini]

11 luglio – Esecuzione della spia fascista Volpini in piazza S. Maria Novella durante il fallito agguato a Giuseppe Bernasconi, succeduto pochi giorni prima a Carità nel comando del Reparto Servizi Speciali.

12 luglio – Fallito attacco, nei pressi del viale dei Colli, a un ufficiale della Milizia fascista da parte di due gappisti: uno scappa, l’altro viene ferito, catturato e torturato. Le rivelazioni di quest’ultimo consentono al Reparto di Bernasconi di compiere con successo una retata per catturare altri gappisti.

Il 13 luglio viene individuato e ucciso Elio Chianesi e vengono catturati cinque partigiani.

Il 15 luglio viene catturato Bruno Fanciullacci che è sottoposto a durissime torture a Villa Triste da Bernasconi e i suoi militi. Fanciullacci, per evitare di soccombere alle torture e fare rivelazioni nocive per la vita dei compagni e l’organizzazione del Partito, tenta di fuggire gettandosi dalla finestra della stanza in cui veniva interrogato. Per le lesioni causate dalla caduta e le ferite inferte dai colpi sparatigli dai fascisti, Fanciullacci morì il 17 luglio. La sera dello stesso

17 luglio avvenne la strage di piazza Tasso. Verso le ore 19 un autocarro arrivò improvvisamente sulla piazza con un carico di militi fascisti che cominciò a sparare alla cieca alle persone che fuggivano spaventate. Rimasero uccise cinque persone (Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli, Umberto Peri e un bambino di otto anni, Ivo Poli), mentre molte altre furono ferite. Vennero arrestati numerosi partigiani e 17 di loro vennero fucilati alle Cascine il 23 luglio.

Le loro salme furono scoperte casualmente solo nell’aprile 1957.

I sedici martiri massacrati sulla piazza di Carpi

I sedici martiri massacrati sulla piazza di Carpi
La storia di Walter Lusuardi:
si fece fucilare al posto del fratello

Il 16 agosto si celebra l’anniversario della strage di sedici persone, per rappresaglia all’uccisione del console della milizia della Repubblica di Salò, Filiberto Nannini. Egli si era trasferito da Parma a Migliarina, frazione di Carpi e si era stabilito nella villa Segrè, abbandonata dai proprietari di religione ebraica. Dalla zona di Parma, dove il console aveva operato, erano arrivati numerosi rapporti sulle spietate azioni repressive di cui egli era stato responsabile, tra cui molte fucilazioni di partigiani e renitenti alla leva. La mattina del 15 agosto il console era partito in bicicletta per Carpi, come faceva di solito, ma a metà strada venne ucciso forse da un commando dei Gap. Già nel pomeriggio e la mattina seguente, gruppi di fascisti della brigata nera di Carpi e dei paesi vicini avevano rastrellato le frazioni di Migliarina, Rio Saliceto, Fossoli e Carpi per catturare partigiani e antifascisti, già noti ai repubblichini, perché segnalati da fascisti locali. Prudentemente molti di questi partigiani di Migliarina e Budrione quella notte dormirono fuori casa, come Walter Lusuardi, Enzo Neri, Aldo Corsari, Aldebrando Manfredini, Malavasi, Ganassi, Savani e altri giovani che avevano disertato. A Migliarina i fascisti tuttavia riuscirono a catturare una trentina di persone e a raggrupparle sotto la tettoia dell’osteria. Tra i fermati vi erano tutti gli uomini della famiglia di Walter Lusuardi: il padre Primo, il fratello Edmondo, che aveva sei figli, e il nipote Dino, di 15 anni. Il padre ed il nipote vennero lasciati liberi, mentre Edmondo fu fatto salire con altri sul camion, con la minaccia che, se non si fosse presentato suo fratello, avrebbero ucciso lui. Walter, che era nascosto in un rifugio partigiano nella valle di Migliarina, venne informato dell’arresto del fratello e sapendo che volevano proprio lui, non esitò: prese una bicicletta e raggiunse quel maledetto camion; fu portato a Carpi e imprigionato assieme al fratello ed agli altri arrestati. In quei pochi chilometri di strada che separano il rifugio partigiano dall’osteria dove erano i fascisti, Walter venne fermato diverse volte dagli amici e invitato a tornare indietro, ma la risposta fu sempre la stessa: «Non posso, mio fratello ha sei figli da crescere. Loro vogliono me». Nel pomeriggio i familiari degli arrestati, saputo che essi erano stati portati in una villa di fronte alla Caserma dei Carabinieri di Carpi, in viale XXVIII Ottobre (ora viale Odoardo Focherini), vi si recarono per avere notizie dei loro cari, ma poterono sentire solo i lamenti e le urla di dolore. Solo dopo si conobbe a quali torture fossero stati sottoposti: avevano loro strappate le unghie dei piedi e delle mani ed a Walter, in più, avevano fratturato un braccio. Verso sera, i sedici ostaggi, allineati in due file e quasi incapaci di reggersi in piedi per le torture subite, furono condotti in piazza dai componenti di una brigata nera non carpigiana. Furono fatti sdraiare a pancia a terra e uccisi a raffiche di mitra e un colpo alla testa. Dentro, carcerato, era rimasto solo Edmondo; nello stesso istante in cui riecheggiarono gli spari, si aprì la porta della cella e gli si avvicinò il capo della brigata nera di Carpi, che gli accese una sigaretta. Mettendogliela in bocca, gli disse: «Loro ti volevano uccidere, ma io ho mantenuto la promessa, anche perché hai sei figli. Puoi andare sei libero». Uscito, Edmondo si incamminò a piedi verso casa: il suo pensiero era tormentato dal mucchio di cadaveri che aveva visto da lontano, al centro della piazza, tra cui sapeva che doveva esserci quello del fratello Walter, che aveva dato la vita per lui. Nella sua mente dominava il pensiero di quando sarebbe giunto a casa. Il suo passo era lento. C’era il coprifuoco, ma voleva ugualmente arrivare; abbandonò la strada e attraversò i campi, avviandosi verso casa, verso quel disperato annuncio che doveva dare, assieme a un doloroso, ma caldo abbraccio, ai vecchi genitori.

***
Walter Lusuardi aveva 30 anni, lavorava come bracciante, a giornata. In quei giorni lavorava alla TODT assieme al fratello Edmondo: scavavano fossati anticarro per i tedeschi. Il loro padre, Primo Lusuardi, oltre ad essere stato presidente della Lega braccianti di Migliarina Budrione nei primi anni del Novecento era stato uno dei pochi che sapeva leggere e scrivere. Scriveva sul giornale socialista “Luce”, dove teneva una rubrica che si intitolava “Dalla vanga alla penna”: in essa invitava gli operai, gli uomini, ma specialmente le donne, a frequentare le scuole serali: gli uomini per avere il diritto di voto, perché a quei tempi votava solo chi “sapeva di lettera” e le donne perché avrebbero avuto almeno la soddisfazione di scrivere personalmente le lettere ai mariti, o ai fidanzati lontani, in guerra. Leggeva anche all’osteria ad alta voce, per i suoi amici, i giornali l’Avanti e Luce. Walter, cresciuto in questa famiglia socialista, e quindi antifascista, rientrato dal servizio militare in aeronautica, prima da Palermo, poi da Ferrara, trovò una situazione economica che non era affatto cambiata, anzi era peggiorata: la miseria era tanta, le giornate di lavoro poche e quindi anche i soldi erano pochi; per questo accettò l’ingaggio per andare in Germania a lavorare, per due anni, nei lavori stagionali, di raccolta delle patate. A quei tempi, per i giovani, l’unico divertimento era il ballo e a Migliarina, vi era una grande sala, chiamata “Salone Moderno” in cui, oltre alle serate danzanti, si poteva assistere a serate teatrali. Un gruppo di amici, ragazzi e ragazze, tra cui Walter, avevano formato una compagnia teatrale ed avevano allestito diverse commedie, come “Il Fornaretto di Venezia”; si esibivano anche cantando romanze delle opere più famose. Walter aveva una bella voce: molte volte, specialmente nelle serate all’osteria, dopo un bicchier di vino, veniva sollecitato a cantare. Le canzoni erano quelle che cantava Beniamino Gigli: “Non ti scordar di me”, “Mamma”, ma non mancavano l’inno socialista “L’Internazionale” o “Bandiera rossa”, ma queste ultime le cantava a bassa voce, mentre intorno si creava un vuoto. Molti dei presenti se ne andavano per paura di essere giudicati socialisti sovversivi; infatti in quel clima, a metà degli Anni Trenta, anche queste cantate erano un affronto per quei fascisti locali che, purtroppo, se ne ricordarono. Solo per questo l’hanno torturato senza pietà, strappandogli le unghie di mani e piedi, rompendogli un braccio davanti al fratello e l’hanno portato in piazza uccidendolo assieme a quindici innocenti. Pochi giorni dopo la liberazione, il Parroco dell’Ospedale di Carpi, che aveva dato la benedizione e ascoltato le ultime volontà dei sedici fucilati, invitò i familiari di Walter ad andare in curia di Carpi per ritirare i documenti del loro caro. Nel portafoglio c’era la foto della fidanzata Ebe Gualdi e un biglietto con scritto l’ultimo pensiero: Un abbraccio a mamma e papà e tutti, un forte abbraccio e baci a Ebe. “Vando”.